Poche località turistiche argentine hanno goduto di tanta attenzione da parte degli studiosi come Mar del Plata. La città della costa atlantica, distante circa 400 chilometri da Buenos Aires, fu fondata nel 1874: l’arrivo della ferrovia nel 1886 e la simultanea creazione di una stazione balneare per l’élite della capitale avviarono il processo di modernizzazione di quella che è divenuta la principale meta turistica degli argentini. Il volume di Bettina Alejandra Favero è la rielaborazione della sua tesi di dottorato in storia e rispecchia l’impostazione accademica iniziale. In effetti, nei primi tre capitoli (dei complessivi nove), l’autrice si sofferma sugli studi del fenomeno migratorio in Italia e in Argentina negli ultimi decenni (cap. 1); sul ruolo dell’emigrazione e dell’immigrazione come elementi dello sviluppo nei due Paesi e sulle politiche migratorie del peronismo e dei governi italiani tra gli anni quaranta e cinquanta (cap. 2) e sugli aspetti generali dell’emigrazione europea e italiana in Argentina dalla seconda metà dell’Ottocento fino agli anni cinquanta del Novecento (cap. 3). Questa parte del volume è più divulgativa che specialistica e l’autrice riprende e discute alcune categorie analitiche diffuse negli studi come, ad esempio, i concetti di modello migratorio regionale, catene migratorie, «ragnatele» migratorie e reti sociali.
Sono, tuttavia, i restanti capitoli quelli che presentano la ricerca sugli italiani di Mar del Plata nel periodo 1945-1960. In realtà, la città balneare fu importante destinazione migratoria già negli anni negli anni novanta dell’Ottocento. Nel 1914, per esempio, il 47% della popolazione era di origine straniera: gli italiani costituivano più di un terzo degli immigrati. Questo primo gruppo di lavoratori proveniva dall’Italia settentrionale (Lombardia, Piemonte e Veneto) e solo dopo il 1910 fu raggiunto anche da italiani originari del Centro e del Sud.
Tra gli anni quaranta e cinquanta, Mar del Plata passò da villa balnearia all’attuale ciudad de masas. Questa imponente trasformazione diede luogo a uno sviluppo senza precedenti dell’edilizia. Tra il 1947 e il 1960 la città, che presentava indici di crescita tra i più elevati dell’Argentina, accolse un numero significativo di lavoratori europei, ma anche delle località circostanti. Gli italiani rappresentarono ancora una parte importante dei nuovi arrivati: i 10.450 censiti nel 1947 costituivano il 47% degli stranieri e il loro numero, secondo una stima dell’autrice, salì a 15.900 nel 1960. Favero propone una divisione temporale del processo migratorio degli italiani: in una prima fase, tra il 1947 e il 1950, l’emigrazione fu sostanzialmente maschile e individuale; successivamente, tra il 1951 e il 1960, mogli e figli raggiunsero i capofamiglia. La maggioranza degli italiani proveniva dal Meridione: Campania, Sicilia, Calabria, Molise e Abruzzo, con le prime tre regioni che da sole concentravano il 42% del totale dei nuovi arrivati. Favero evidenzia come, mentre le aree di provenienza degli italiani presentavano una discontinuità rispetto ai decenni precedenti, il passaggio da un continente all’altro non modificò, specialmente per campani e siciliani, le principali attività lavorative degli emigranti: la maggior parte dei meridionali, infatti, riprese a Mar del Plata le attività legate alla pesca e al commercio del pesce che svolgeva in patria. Così il 45% e il 35% dei pescatori marplatensi erano napoletani e siciliani rispettivamente. Altri lavoratori italiani si occuparono nei settori delle costruzioni e dell’agricoltura, mentre molte donne tessevano a domicilio per i numerosi stabilimenti tessili presenti nella città tra anni cinquanta e sessanta. Non mancarono, inoltre, donne assunte temporaneamente nei settori alberghiero e turistico in generale e quelle che, per conto di piccole aziende conserviere, salavano acciughe presso le proprie abitazioni.
Nel capitolo quinto, Favero entra nel vivo della ricerca e presenta le principali caratteristiche migratorie di tre comunità paesane: Vedelago, Duronia e Acireale. Si tratta di gruppi con una forte presenza a Mar del Plata: i vedelaghesi furono quasi il 45% dei trevisani giunti nel secondo dopoguerra, a sua volta il 46,7% dei veneti nel loro insieme; i duroniesi rappresentarono il 38,5% dei molisani, provenienti per quasi l’84% dalla provincia di Campobasso; gli acesi, infine, costituirono quasi il 43% degli emigranti originari dalla provincia di Catania, i più numerosi tra tutti i siciliani. Periodi di arrivo, composizione e inserimento lavorativo dei tre gruppi in parte coincidono e in parte divergono. I veneti di Vedelago s’insediarono oltreoceano soprattutto nel periodo 1948-1952, dopo aver attivato vecchie reti familiari e paesane: si stenta a credere, come segnala l’autrice, che «la notable disminución de los flujos migratorios [de Vedelago] desde el año 1952, se debió al impulso económico registrado en la región que formaba parte del triángulo económico (Piemonte, Lombardia y Veneto)» (pp. 104-05). L’arresto delle partenze in direzione dell’Argentina è da attribuire, piuttosto, non solo alla crisi che colpì il Paese latinoamericano a partire del 1952, come ricorda Favero, ma anche al fatto che negli anni cinquanta e sessanta i veneti preferirono altre mete migratorie. I duroniesi giunsero a Mar del Plata nell’arco di più di un decennio, dal 1947 al 1960: i 202 abitanti del comune molisano erano equamente divisi tra maschi e femmine, con un’alta percentuale di bambini (33%), a riprova di un flusso sostanzialmente formato da gruppi familiari. Gli emigranti siciliani di Acireale si concentrarono negli anni 1948-1951 e, come i vedelaghesi, approdarono a Mar del Plata sulle tracce dei compaesani giunti nei primi anni dieci del Novecento. Caratteristica dell’emigrazione degli acesi del secondo dopoguerra fu, invece, la preponderanza femminile (65,4%).
Nel sesto capitolo Favero ricostruisce le reti migratorie di vedelaghesi, duroniesi e acesi: in tutti e tre i casi si trattò di reti a maglie strette perché i membri si conoscevano tra di loro. Quella dei veneti iniziò nel 1885 e si protrasse fino ai primi anni cinquanta del Novecento: rapporti familiari e paesani intrecciarono approdi lavorativi (fornaci, cantieri edili e piccole fattorie agricole). Il primo acese di Mar del Plata giunse nel 1913, ma solo una visita in patria all’indomani della guerra permise di avviare la rete migratoria che si estese fino al secondo dopoguerra e che vide gli abitanti di Acireale impiegati nel settore della pesca anche oltreoceano. La Duronia di Mar del Plata, che raggiungeva anche la vicina Balcarce, fu il risultato di rapporti avviati tra i due lati dell’Oceano nei primi anni trenta, ma che furono attivati soprattutto nel secondo dopoguerra.
Il ruolo delle reti familiari e paesane nella scelta dell’insediamento abitativo e del lavoro di acesi, vedelaghesi e duroniesi di Mar del Plata è esaminato nel capitolo 7. Sulla base di più fonti (registri di matrimonio parrocchiali, aire, interviste, l’elenco dei soci della Casa d’Italia dell’area del porto marplatense) l’autrice evidenzia la maggiore incidenza delle reti per la distribuzione spaziale di acesi (la «piccola Acireale» della zona del porto) e duroniesi rispetto al caso dei vedelaghesi. Rapporti familiari e paesani furono determinanti anche nella scelta lavorativa soprattutto tra gli emigranti di Acireale, che «ricrearono» nei mari australi un mestiere già svolto nel Mediterraneo: la pesca.
I rapporti tra vincoli familiari e paesani e scelte matrimoniali sono affrontati nel capitolo 8. Gli acesi, per esempio, mostrarono forti comportamenti esogamici, favoriti anche dalla prossimità abitativa: Favero, in realtà, segnala la marcata endogamia intragenerazionale degli uomini, vale a dire tra maschi nati ad Acireale e donne argentine figlie di emigrati acesi. Nello stesso periodo (1945-1960), anche gli uomini vedelaghesi presentarono alte percentuali esogamiche, ma diversamente dagli acesi, le mogli erano equamente divise tra figlie di compaesani/italiani e argentine native. Nel caso dei duroniesi, la scarsa attendibilità della fonte adoperata (l’aire) non consente analisi dettagliate perché la marcata prevalenza dei comportamenti esogamici paesani potrebbe essere scaturita da matrimoni contratti in patria, a Duronia.
L’analisi del rapporto tra associazionismo e identità etnica è l’oggetto dell’ultimo capitolo del libro. Mar del Plata vanta una radicata presenza istituzionale italiana con la prima società di mutuo soccorso istituita nel 1884. Almeno all’inizio, tuttavia, il mantenimento del patrimonio culturale d’origine fu garantito dalle famiglie. La nascita delle associazione di carattere regionale a partire dagli anni cinquanta del Novecento (prima fra tutte la Società Le Tre Venezie creata nel 1954), e soprattutto negli anni settanta e ottanta, estese, al di fuori dei nuclei familiari, alcuni dei tratti culturali paesani e regionali, come le abitudini alimentari, le festività religiose e i dialetti. Promosse in molti casi dagli stessi enti regionali italiani, queste associazioni svolsero anche un ruolo di mediazione tra le regioni di partenza e le comunità all’estero.
Javier P. Grossutti