L’impresa storica di Cristoforo Colombo dal 1492 a oggi è divenuta un vessillo d’audacia, di libertà, di civilizzazione e di colonizzazione per tutto il continente americano, andando molto oltre il fatto storico. Della sua figura emblematica si sono appropriate molte popolazioni con obiettivi e significati diversi, dandole un contenuto al contempo ideologico ed etnico.
Dal 1934 a oggi ogni inizio di ottobre negli Stati Uniti si festeggia il Columbus Day, il giorno di Colombo, con tanto di giornata festiva a partire dal 1971. Dalla prima commemorazione del 1792 alla festa nazionale attuale, il cuore delle celebrazioni si è sempre più spostato verso la comunità italiana di New York. Marie-Christine Michaud, specialista dell’immigrazione italiana negli Stati Uniti, nel suo libro Columbus Day et les Italiens de New York, descrive con sapienza e meticolosità lo sviluppo di un fenomeno etnico e culturale, capace di forgiare dei nuovi americani a partire da gente venuta da altrove a stabilirsi sul suolo statunitense.
L’introduzione del saggio pone rapidamente i termini della questione. Il culto e la festa di Cristoforo Colombo sono iniziati nelle Americhe molto prima della grande immigrazione italiana. Molti luoghi portano, infatti, il nome del celebre navigatore, benché questi non abbia neppure sfiorato quelle terre. Lo scopritore genovese rappresenterebbe l’incarnazione del «nuovo mondo», migliore e più puro rispetto a quello vecchio ed europeo. Mentre anche gli spagnoli rivendicano la nazionalità di Colombo, sono gli italiani ad averne fatto il simbolo del loro contributo fondamentale alla costruzione degli Stati Uniti, per quanto l’Italia al tempo del loro eroe non esistesse ancora. In particolare, «per gli Italiani di New York, Columbus Day rappresenterebbe al contempo una festa americana e un festival etnico; sarebbe stato un agente d’assimilazione della comunità italiana e uno strumento per il mantenimento della sua specificità etnica» (p. 15).
Il primo capitolo del libro mette a fuoco la condizione degli italiani immigrati negli Stati Uniti in misura sempre più ampia dal 1880 al 1915, approdando quasi sempre a New York e insediandosi spesso nella cittadella di Manhattan e dintorni. La loro reputazione agli occhi della maggioranza bianca, anglosassone e protestante (wasp) era in genere quella di stirpe inferiore di criminali e radicali non assimilabili. Venne persino coniato il termine di «razza mediterranea» in opposizione a quella «nordica» o «alpina», con frequenti episodi di violenza xenofoba. L’ascesa sociale del gruppo italiano, che a New York conta già più di un milione di membri nel 1930, si realizza poco a poco tramite un processo di consolidamento della propria identità etnica, pur assumendo l’essenziale dell’identità americana. Gli italiani arrivano da un paese in cui l’unità spirituale ancora non esiste e raggiungono quest’ultima creandola ex novo negli Stati Uniti. Si tratta di un’italianità fondata su alcuni elementi quali le origini comuni, «l’adesione a un sistema di valori morali, religiosi (cattolici) che pone la famiglia al centro del processo di socializzazione (che si oppone specialmente all’aborto e al divorzio), un orientamento politico piuttosto conservatore, un attaccamento a degli elementi culturali fonte d’orgoglio (la lingua, la cucina, le arti) e soprattutto il sentimento di condividere un destino identico» (p. 28).
Il secondo e terzo capitolo tracciano la storia dell’appropriazione italiana di Columbus Day. Il quarto centenario della scoperta dell’America (1892) costituisce una svolta nello sviluppo delle celebrazioni, sia per l’importanza che il presidente Benjamin Harrison vuole attribuirvi, sia per la partecipazione attiva dei gruppi italiani newyorchesi, fra i quali si distinguono i Knights of Columbus, la Guardia Colombo e i Sons of Columbus. I giornali italiani e i prominenti della comunità riescono – tramite la loro influenza e l’organizzazione di una colletta – ad attuare il progetto di un nuovo monumento a Colombo, fatto arrivare dall’Italia, da porre a Central Park: «questo episodio rappresenta una vittoria degli Italiani sugli Spagnoli nella corsa al recupero della figura di Cristoforo Colombo» (p. 69). La trasformazione di Columbus Day in festa italoamericana si verifica nel corso del xx secolo e tre date significative segnano questa evoluzione. Nel 1909, sotto l’impulso della mobilitazione umanitaria per i terremotati di Messina (1908), gli Italiani pervengono a far riconoscere Columbus Day come festa legale per lo stato di New York, imitato in questo da altri quindici stati. Nel 1934, in piena epoca fascista per la Penisola, Generoso Pope, il prominente newyorchese più filomussoliniano – contrastato in questo dal leader dei sindacati Luigi Antonini – fa pressione con successo sul governo statunitense perché la festa divenga federale. Durante la Seconda guerra mondiale, la comunità italiana conquista la fiducia americana sulla propria lealtà agli Stati Uniti. Nel 1968 il presidente Lyndon Johnson, la cui campagna elettorale aveva ricercato il favore della minoranza italiana, rende Columbus Day giorno festivo. Se per la prima generazione dei migranti italiani tale festa aveva il valore di segno d’integrazione, per i suoi figli essa si trasforma in manifestazione d’italianità.
Il quarto capitolo analizza gli sviluppi nei decenni più recenti e l’attuale posta in gioco del Columbus Day. I discendenti degli italiani ostentano specie in quel giorno il proprio orgoglio italiano, che, dopo gli scandali degli assassini di John Fitzgerald Kennedy e Martin Luther King, nonché della guerra in Vietnam e del Watergate, beneficia del ridimensionamento della bontà dell’essere americani wasp: gli italoamericani fanno ormai parte a pieno titolo delle white ethnics alla guida del paese. Mentre nel 1992, in occasione del quinto centenario della scoperta dell’America, molte critiche si levano contro l’epopea di colonizzazione iniziata con l’arrivo delle tre caravelle, la festa diviene sempre più folcloristica e alle parate «italiane» si contrappongono a New York le parate ispaniche.
Citando Richard Alba, l’autrice conclude il suo libro affermando che nonostante la tendenza alla scomparsa progressiva delle identità etniche bianche negli Stati Uniti, Columbus Day «resta uno strumento privilegiato di propaganda della cultura italiana e dunque del mantenimento di una certa italianità» (p. 197). Vi è anzi una ripresa del riferimento all’Italia, in quanto il 75 per cento degli oriundi della Penisola rivendica oggi le proprie origini.
Pur essendo uno scritto a carattere scientifico, il libro di Marie-Christine Michaud risulta di lettura agevole e ricco d’informazioni interessanti, mantenendo con fermezza la coerenza delle proprie tesi. Il materiale bibliografico è nutrito e, talora, non di facile rinvenimento. Molti italoamericani newyorchesi potrebbero tranquillamente sottoscrivere la sua analisi.
Luca Marin