Ambra Meda, nel suo volume Al di là del mito, ricostruisce l’idea italiana di America in epoca fascista che emerge nei resoconti di viaggio di Depero, Ciarlatani, Soldati, Borgese, Barzini e Cecchi. Al principio del secolo scorso gli Stati Uniti, che ascendono a potenza mondiale, s’impongono all’attenzione del Vecchio Mondo come catalizzatore di progresso e modernità. In particolare l’America entra prepotentemente nella coscienza identitaria degli italiani che, con l’imporsi del fenomeno migratorio, guardano oltreoceano come alla patria d’adozione di un numero esponenziale di connazionali. Le impressioni di Ciarlatani, Depero, Soldati, Borgese, Barzini e Cecchi ci interessano per comprendere come la civiltà americana sia stata percepita in Italia quando l’esodo transoceanico allaccia i destini storici dei due paesi; ma si rivelano fondative anche nell’ambito del complesso rapporto che l’intellighenzia italiana avrebbe intrattenuto con la Repubblica a stelle e strisce negli anni a venire. In merito alla «scoperta» italiana dell’America, molto è stato detto sull’attività di divulgazione, traduzione e critica della letteratura americana attraverso la quale Pavese e Vittorini hanno modellato l’immaginario italiano del Nuovo Mondo. Senza mai avere visitato il paese oltreoceano, Pavese e Vittorini hanno consegnato all’Italia angustiata dalla politica culturale fascista, il mito, mai sottoposto a verifica, di una terra barbara, innocente e libera attraverso il filtro deformante della sua letteratura. Nel tentativo di collocarsi «al di là» di quest’utopia, Ambra Meda esplora una dimensione meno nota della rappresentazione made in Italy degli Stati Uniti, e chiama in causa autori che, avendo conosciuto l’America, ne restituiscono un’immagine più contradditoria e sfaccettata di quella lineare, seducente, ma anche illusoria, proposta dai fautori del mito.
Nella prima parte di Al di là del mito, ogni capitolo corrisponde allo spaccato biografico dei singoli autori, descrive le ragioni e le tipologie del viaggio che hanno intrapreso per poi analizzare il resoconto che lo compendia. Accostando profili intellettuali e politici molto differenti (il politico fascista, il giovane reporter, l’artista futurista, il borsista, il docente universitario in esilio e l’elzevirista raffinato), il ritratto letterario dell’America che emerge è difforme per contenuti e linguaggi. Se il giornalista in erba descrive i bassifondi newyorkesi con una prosa asciutta ed essenziale, il pittore futurista è colpito dai valori cromatici e dall’aspetto babelico della città verticale, mentre il professore universitario confronta il mondo accademico nostrano e il modello del campus statunitense. Lo stile, ampiamente indagato per ogni autore (la prosa raffinata d’impronta rondista in Cecchi, la cifra fonico/onomatopeica delle parolibere di Depero, per citarne un paio), identifica le istanze estetico-ideologiche dei singoli viaggiatori e apre l’ampio ventaglio di esiti letterari che l’incontro con l’America ha prodotto. Soffermandosi scrupolosamente sulle controversie editoriali che interessano i singoli testi, l’autrice dimostra che, nella natura mutevole dell’idea di America, è riflessa la parabola della politica estera fascista, i cui umori nei confronti della Repubblica a stelle e strisce, per quanto fluttuanti e ambivalenti, s’incrinano in seguito alla crisi del 1929. L’ingerenza del fascismo è misurata su testi di autori che hanno posizioni politiche differenti, che spaziano dall’ossequio alla dissidenza. Con grande attenzione al dato storico, l’autrice distingue l’ostracismo dall’opinione, l’impressione dalla pressione ideologica, l’inevitabile evolversi dei criteri valutativi dall’inasprirsi delle misure censorie. Il giudizio sull’America, tarato su parametri culturali nostrani e soggetto alle congiunture politiche interne all’Italia, si costruisce in relazione con la realtà domestica, dalla quale non può prescindere.
Abbandonato il criterio biografico, nella seconda parte di Al di là del mito subentra un’analisi tematica. Vengono passati in rassegna gli aspetti del panorama urbano, sociale e umano statunitense che collegano trasversalmente tutti i resoconti, e così pure le reazioni dei viaggiatori in proposito. Il tentativo è di elaborare una fenomenologia del sottogenere odeporico relativo all’esperienza americana, nel quale le diverse impressioni dei viaggiatori sono riconducibili a un invariabile repertorio di topoi (quali ad esempio il viaggio oceanico, l’ambiente metropolitano, il melting pot, il proibizionismo e l’emancipazione femminile). La struttura del testo è concepita in modo che l’ipotesi biografica formulata nella prima parte trovi riscontro nella seconda, dove i pensieri dei singoli autori, messi a confronto, risaltano con evidenza.
Per ognuno degli argomenti presi in esame l’autrice evince la reazione più tipica, generalmente sospesa tra folgorazione per la modernità americana e un sostanziale senso di superiorità eurocentrico e che, approssimativamente, vede gli autori conservatori ostili, e gli antifascisti più esterofili ed inclini ad accettare il modello americano. Fatto ciò, l’autrice scavalca lo stereotipo per concentrarsi sugli strappi alla regola, le risposte meno prevedibili. Tutt’altro che ostile, il fascista Ciarlatani per esempio, assimila entusiasticamente il self made men americano all’uomo audace celebrato da Mussolini. Penetrando queste controtendenze, l’autrice scardina la fuorviante identificazione, diffusa tra gli studiosi del fenomeno, tra fascismo e antiamericanismo da un lato, mentre mette in discussione la lettura esclusivamente politica, in chiave antifascista, del mito americano dall’altro.
Tra i temi trattati, l’incontro del viaggiatore con l’immigrato è particolarmente rivelatore dell’istinto più profondo del viaggiatore italiano ed europeista nei confronti del Nuovo Mondo, e funge da spartiacque tra gli scrittori. In questa sede, infatti, emerge con chiarezza come il punto di vista europeo possa avvalorare, condizionare, ma anche adombrare lo sguardo sull’America, specialmente se utilizzato come termine di paragone assoluto. L’immigrato, percepito come proiezione imbastardita e americanizzata del sé, il cui italiano si è stemperato in un’amalgama bilingue, risveglia un’identità nazionale inflessibile e inorgoglita in viaggiatori che pure avevano saputo apprezzare, protetti da una distanza di sicurezza, alcune novità del panorama sociale e tecnologico statunitense. Solo Barzini e Borgese, nell’immigrato intravedono la nostalgia, la capacità di reinventarsi, prima dell’involgarimento dei costumi, dimostrando una capacità critica che si è emancipata dai retaggi domestici.
Superando semplificazioni, Ambra Meda sdogana gli atteggiamenti dei viaggiatori italiani di fronte alla realtà americana che, nelle loro sfaccettature, si rivelano sintomatiche «della difficoltà a rapportarsi in modo univoco a una civiltà tanto complessa» (p. 21). Ma Al di là del mito non ci interessa solo perché dà la parola ai viaggiatori, a coloro che l’America l’hanno conosciuta davvero, ricorrendo a una lettura smaliziata e attenta dei loro testi. Tenendo fede alle parole di Mario Soldati, per cui «l’America di oggi si capisce meglio con il ricordo dell’America d’allora» (Mario Soldati, Prefazione alla terza edizione di America Primo Amore, Palermo, Sellerio, 2003, p. 20), Ambra Meda ritorna su questi testi per risalire alla radice dei nostri odierni giudizi e pregiudizi verso la civiltà americana. E così come si guarda al passato con un occhio aperto sul presente, si guarda all’estero per capire meglio l’Italia, ovvero l’origine, insieme culturale e geografica, di quelle valutazioni. Se durante il ventennio, come sosteneva Calvino, l’immagine di quella terra lontana rifletteva «una gigantesca allegoria dei problemi nostri» (Italo Calvino, Tre correnti del romanzo Italiano d’oggi [1959] in Id., Una pietra sopra. Discorsi di Letteratura e società, Torino, Einaudi, 1980, p. 48), ancora oggi le riflessioni di allora ci riportano al nostro modo di intendere, di raffigurare e di relazionarci con quella cultura che, allora come adesso, ci affascina e, insieme, suscita qualche perplessità.
Camilla Dubini