Anche se l’incipit si apre sul mesto arrivo a Londra di Mazzini e dei fratelli Ruffini, nello squallido alberghetto Sablonniére, con una colorita descrizione ripresa nel quarto di copertina, questo poderoso affresco è qualcosa di più e di diverso da quanto enunciato nel sottotitolo. Nella Londra dei cospiratori ricostruita da Verdecchia, infatti, non troviamo solo gli esuli italiani, ma quelli che vi approdano da tutta Europa e anche dalla lontana Russia, dopo avere peregrinato per vari paesi e sovente, dopo essere stati espulsi dalle altre capitali europee dell’esilio dove avevano cercato e trovato un primo rifugio: Ginevra, Parigi e Bruxelles.
Diviso in tre parti cronologiche, il libro esamina nella prima gli esuli a Londra del periodo 1820-1838, quelli del decennio successivo nella seconda parte e, nell’ultima, la seconda metà del secolo fino al 1905, ma in realtà fino all’inizio degli anni settanta dell’Ottocento, concludendosi con l’ultima ondata di fuggitivi, quelli della comune parigina del 1871 e con la morte di Mazzini, in patria ma ancora latitante, l’anno successivo. La data del 1905 come termine ad quem è tuttavia scelta per un motivo preciso inerente alla cronologia interna del libro: in quell’anno venne varato un nuovo Alien Act che, rendendo discrezionale il diritto di asilo, sospese definitivamente quella politica di accoglienza indiscriminata che aveva per tutto il secolo precedente fatto di Londra il rifugio degli esuli di tutto il vecchio continente. Tuttavia la struttura del libro potrebbe apparire come quella di una guida della città, dato che ogni capitolo è intitolato a un luogo: Leicester Square, dove si trova il Sablonniére, Regent’s Park, Holland Street e tutto quegli altri luoghi di Londra dove ebbero dimora gli esuli, o che ospitarono associazioni e iniziative da essi promosse.
Il secolo di Londra capitale degli esuli si apre con il capostipite Ugo Foscolo, che per primo approda nella capitale britannica, iniziando a sperimentare la gran parte delle difficoltà materiali e psicologiche che avrebbero caratterizzato l’esperienza di ogni successiva ondata di nuovi arrivati. I primi a raggiungere il poeta sarebbero stati i protagonisti delle sfortunate sollevazioni del 1821, a cui si aggiunse, all’inizio del decennio successivo, il gruppo dei polacchi, ben più numeroso, e preceduto dalla fama della sua sorte sfortunata. Ma in città trovavano rifugio, oltre agli spagnoli che fuggivano il rientro e la vendetta dei Borboni, e ai francesi repubblicani dopo la restaurazione della monarchia, anche i tedeschi coinvolti in associazioni segrete e attività politiche sovversive, che costituivano il gruppo più diseredato fra i comunque miseri rifugiati, e infine, a partire dagli anni centrali del secolo, i fuggitivi dall’Impero russo.
La scelta di partire dalla sede geografica, compiuta dall’autore, gli permette di condurre il lettore attraverso le principali ideologie del secolo, che appunto nell’esilio vengono elaborate e discusse proprio nella capitale britannica. Dal repubblicanesimo di Mazzini, al socialismo utopistico di Cabet (anch’egli esule a Londra), dal socialismo di Herzen, all’anarchismo di Bakunin, fino al socialismo scientifico di Marx. L’esposizione degli aspetti basilari del pensiero di personaggi che in modo così rilevante hanno contribuito alla storia culturale dell’Ottocento si dipana davanti al lettore assieme alla complessa vicenda delle loro biografie, funestate dall’esilio e da tutte le conseguenze che sul piano personale esso ha comportato, mostrando però anche le influenze reciproche, i dibattiti e gli scontri ideali. I londinesi veri restano sullo sfondo, più spesso infastiditi che coinvolti dai drammi degli esuli, salvo che per i sostenitori delle società benefiche di soccorso alle vittime delle repressioni e per qualche teorico delle nascenti Unions, come Robert Owen, qualche nobile eccentrico come Lord Holland e alcuni intellettuali curiosi del mondo e caritatevoli, come Thomas Carlyle e sua moglie Jane.
Tutto questo è raccontato come un romanzo, assai lontano, nel metodo e anche nelle scelte espositive adottate, dalle consuetudini del saggio storico, estranee all’autore, che appartiene al mondo del giornalismo dei periodici illustrati e televisivo ma anche del cinema, in cui ha operato come consulente e traduttore di soggetti. E difatti l’andamento narrativo rievoca da vicino quello di una sceneggiatura, per cui a pagina 170 il lettore, dopo avere fatto conoscenza fino a quel punto della variegata compagnia degli esuli londinesi nella Londra degli anni trenta dell’Ottocento, si imbatte di nuovo nel gruppo di giovani italiani che ha incontrato nelle prime pagine e nell’«uomo più ricercato dalle polizie d’Europa» Pippo, di cui fin da pagina 15 conosce che «il suo vero nome è Giuseppe. Giuseppe Mazzini». Tale scelta stilistica si accompagna a una minuziosa indagine biografica, che sovente insiste sugli aspetti anche sentimentali che, se da un lato ha il pregio di restituire vita e passione a personaggi di cui siamo abituati a considerare il dato biografico come scontato e forse anche monumentale, dall’altro non ci risparmia una rappresentazione un po’ dal buco della serratura delle loro esistenze, sia pure sulla base di una bibliografia vastissima e inappuntabile. Da tale posizione, il lettore apprende le parti più celate della biografia di gran parte degli esuli, e la vede scorrere davanti a suoi occhi, sullo sfondo di una città sempre descritta minuziosamente ricorrendo alle cronache dell’epoca, nei vari quartieri frequentati dagli stranieri, e quindi quasi sempre poveri, sporchi e malfamati, esattamente come in un film. In molti passaggi, del resto, il libro ricorda l’opera di Martone Noi credevamo, uscita nelle sale cinematografiche quasi in contemporanea con la pubblicazione di questo volume, con il quale condivide almeno una delle tesi centrali. Essa è la rivalutazione dei conflitti e delle lacerazioni che hanno accompagnato l’azione dei protagonisti delle iniziative politiche, legali e non, e delle lotte che oggi sono rubricate come Risorgimento. Lo scopo di questa operazione è di liberare tale passaggio della storia del nostro paese da quell’aspetto monumentale che ne ha irrigidito la memoria storica, espungendo le molte opzioni, differenti da quella monarchica adottata, che l’unificazione politica della penisola poteva comportare agli occhi di chi per essa combatteva. Tale obiettivo resta tuttavia in questo libro un po’ celato e mai esplicitato, tanto che talvolta sembra che il dato biografico induca a qualche semplificazione interpretativa, come nel caso della vicenda di Santorre di Santarosa, talmente afflitto dalle condizioni esistenziali dell’esilio, che «alla fine s’era ridotto in condizioni tali di depressione da considerare una liberazione l’andare a farsi ammazzare in Grecia».
Se, in conclusione, ci si interroga sul contributo di quest’opera alla ricerca storica sull’esilio, quello che si trova nella risposta è soprattutto quanto l’autore si è prefisso: una descrizione vivace e particolareggiata, ma anche appassionata, della Londra degli esuli, che scorre per tutti decenni centrali dell’Ottocento davanti agli occhi del lettore-spettatore, come un romanzo storico ottimamente documentato. Sotto questo aspetto il libro si colloca in un approccio narrativo alquanto tradizionale della storia dell’emigrazione politica italiana. Per il lettore non professionale tale scelta di metodo ha il pregio di presentare un passaggio della storia dell’Ottocento e anche della storia del nostro paese in modo nuovo e accattivante, permettendo di scoprire quanto nei manuali di storia non viene raccontato mai. Anche il lettore professionale, tuttavia, ha modo di verificare come effettivamente, grazie a quell’Alien Act che per decenni ha fatto di Londra il rifugio ultimo degli esuli di tutta l’Europa, la città abbia ospitato le menti più feconde del secolo e abbia sovente permesso loro di incontrarsi, conoscersi e interagire, agendo da culla delle principali idee che hanno sospinto la storia dell’Ottocento.
Patrizia Audenino